Stelio Mattioni, Il Sosia

Stelio Mattioni, Il Sosia

Stelio Mattioni, Il Sosia, Einaudi, 1962, pp. 318.

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La famosa asserzione di Dostojevskij: «Noi tutti siamo usciti dal cappotto di Gogol », può essere fatta propria da Stelio Mattionì senz'aver affatto l'aria d'una riesumazione, tanto naturalmente i suoi impiegati di non ben definiti uffici triestini si rivelano eredi della grande famiglia degli impiegati jpietroburghesi o moscoviti di Gogol, del Dostojevskij giovane o del primo Cechov, dei quali rinnovano i tratti con una angosciosa trepidaziane psicologico-esistenziale tutta moderna. I cinque lunghi racconti con cui si presenta al pubblico questo nuovo scrittore, quarantenne, triestino, di professione impiegato, vissuto finora lontano dalla letteratura e dagli ambienti letterari, sono un prodotto poetico quanto mai raro e curioso: perché questo humour grottesco e straziato, che si condensa in figure e situazioni sempre molto concrete e visibili — la testa di gallo del pensionato che non vuole invecchiare, la bianca cameretta dell'impiegato che non vuole diventare adulto - affiora sul flusso d'un rendiconto psicologico meticoloso, redatto con una sintassi e un lessico quasi da verbale. Più che la situazione stilistica degli scrittori triestini  (tanto discussa fin dalla scoperta dell'affascinante «scriver male» di Svevo) qui è da mettere in causa una sorta d'ossessione di compiutezza burocratica dell'impiegato Mattioni. E in essa bisogna seguirlo con assoluta fiducia,  perché,  quando meno ce lo aspetta, dalla prosa più grìgia salta fi ri un'immagine folgorante per intens, e pregnanza poetica, sul tipo di: « e verde delle sue calze dì lana lo offese oppure succede qualcosa che ha la pu forza comica dell'imprevedibile e di l'ingiustificabile, come il saluto milita con cui si congeda l'impiegato timic dalla ragazza che finalmente s'è deci, ad abbordare per strada, o quando ì di camionisti tirolesi stanno per sfogare rancore reciproco a lungo covato prei dendosi a pugni, ed ecco, sia l'uno eh l'altro, si tolgono la dentiera e la posi no sul tavolo. Ci accorgiamo allora eh il potere di farci entrare in un mond tutto suo, questo potere che è il segn dello scrittore vero, è la forza di Mai tioni: egli trasfigura questo suo universo triestino di bora e d'intemperie at traverso una evocazione minuziosa d cucine e finestre e squallidi interni pie coloborghesi e fermate dell'autobus i uffici pieni di scaffalature e cancellate d, magazzini in una sorta dì labirinto kafkiano. Ma queste filiazioni presunte sono azzardate, con uno scrittore «isolato » come Mattioni, che tutte le rifiuta, e se è proprio forzato ad ammetterne una, fa un nome che si incontra di rado negli alberi genealogici degli scrittori d'oggi: Pirandello.