Beppe Serafini
Aa Vv, Beppe Serafini, Ghelfi, 1998, pp. 96.
«Il caso di Beppe Serafini è emblematico di una situazione che non si può liquidare dietro l'etichetta di naïf. In effetti c'è qualcosa di più nei suoi racconti della semplice trascrizione di un mondo minimale e della candida evocazione del ricordo. I suoi cartoni sembrano riflettere ambasce del destino e accorati richiami a situazioni irripetibili. Il suo segno è un'incisione nella mente, surrogato di volti mai accarezzati, desiderio di vivere quella favola che ci portiamo nel cuore con un sentimento di arcano struggimento e di profonda amarezza».
Non dubito che intorno a Beppe Serafini si formerà presto una leggenda. L'uomo-artista ne ha tutte le facolta e possibilità. Ci se ne accorge appena al vederlo, con quella sua aria di isolato, timido tanto quanto grosso, con gli occhi di bambinone cresciuto e le poche parole che indicano tuttavia l'autocoscienza del proprio valore. Serafini non ha nulla del pittore "intellettuale", di quelli che finiscono per diventare "maestri", anche se soltanto di Accademia. Ma non e neppure un naif. Si capisce bene che Serafini studia, anche se non si fa incantare dalla mistica dei linguaggi e, quando dipinge, pensa di piii a cib che vuol dire che a come dire con lo stile piii aggiornato le cose comuni. Basta questo per capire che Serafini non e una "presenza" nell'arte italiana, che per dire di lui non basta rifarsi a una "situazione".