La notte dell'indaco

La notte dell'indaco

Ray Satyajit, La notte dell'indaco, Einaudi 1989,  pp. 243

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Il pubblico italiano conosce poco Satyajit Ray come regista, non lo conosce per nulla come scrittore. Eppure Ray, da oltre venticinque anni, scrive e pubblica regolarmente storie destinate ai ragazzi, e forse non soltanto a loro. Storie fantastiche, avventure di giungla e piccole storie di vita quotidiana. Ray mescola felicemente la realtà e l'invenzione, filtrandole attraverso la conoscenza profonda della cultura letteraria e filosofica del suo paese e conciliandola con i ricordi delle sue letture adolescenti, anche di autori occidentali. Verne, Wells e Conan Doyle, insieme agli eroi dei grandi cicli epici del Ma-habharata e del Ramayana, sono ispiratori riconosciuti di alcuni suoi personaggi, ma c'è un pizzico del miglior Asimov nell'ingenuo, riuscitissimo Tellus.
Dietro lo scrittore sentiamo l'uomo di cinema abituato a narrare per immagini. L'uso del flash-back gli permette di creare atmosfere di sogno e sdoppiamenti richiamando il passato anglo-indiano e intro-ducendo elementi che danno spessore storico e dicono quanto profondamente le due culture, quella inglese - lingua in cui Ray scrive - e quella indiana, siano compenetrate. La struttura narrativa, molto semplice e legata ai moduli tradizionali dei racconti per ragazzi, rivela il regista e lo sceneggiatore, preoccupato anche di descrivere, di far vedere: la giungla, le valli immaginarie fuori del tempo e dello spazio, la rumorosa Calcutta dei nostri giorni sono in qualche modo «visibili»; i protagonisti, uomini e animali, hanno la stessa malinconica e mite evidenza dei personaggi in bianco e nero dei suoi film. La quotidianità è interrotta dall'insorgere di fatti prodigiosi nel tentativo, riuscito, di dare un equilibrio, quasi un'armonia a delle esistenze minuscole accettate con saggezza e autoironia.