Giulio Del Tredici, Tarbagatai
Giulio Del Tredici, Tarbagatai, Einaudi 1° ed. i supercoralli, 1975, pp. 256.
Giulio Del Tredici, Tarbagatai, Einaudi 1° ed. i supercoralli, 1975, pp. 256.
218 a. C: Annibale discende le Alpi. E un gruppo di Galli stanziati sul Ticino, al suo sbocco dal Lago Maggiore, la tribù delle Teste Rosse, in odio a Roma e al suo imperialismo finisce per schierarsi (non senza tentennamenti e purghe interne) a fianco dell'invasore delle terre italiche. Al grido di guerra «tarbagatai!» e sotto la guida del Magnàn, protagonista di tanto magmatico romanzo, questi grotteschi pirati di terra-ferma e di fiume percorrono la penisola intera, combattendo sbracati le storiche battaglie del Ticino, della Trebbia, del Trasimeno e di Canne. Ma quello che per noi è, oggi, asetticamente Storia, per uomini liberi e ostinati è dura esperienza quotidiana, espediente «tragico» per portare avanti l'esistenza.
Quindi una storia fisiologica, che i grandi eventi «li vive dal di dentro e dal basso», sempre pensando alla fame, alla roba, alle voglie della carne, alla rabbia del vivere morendo. «Cacce e agguati, inseguimenti e rischi - e paure. Paure. E sbornie kolossal, anche... Tra furore maschio tanto, una donna una-unica e sola: la strega del capo». Il mondo barbarico, rustico e primitivo, la fisicità che trionfa, la corporalità che invade la scena della battaglia e della scrittura; il furore picaro che aggancia la cronaca di anni remoti con quella tormentatissima dei nostri giorni; un impasto di lingua e dialetto che contamina i vari registri narrativi mescolando l'epico con l'elegiaco, il lirico col sarcastico; un coraggioso «assalto» naìf che non ignora raffinate ascendenze letterarie.
«Questo - anni duemila fa. Poi i buoni morirono e la Storia andò cosà. Però ci furono, ci furono, o lettore: e vuoi esser, questo libro, il canto loro ultimo d'addio»