Pompeo Onesti, Il brigante

Pompeo Onesti, Il brigante

Pompeo Onesti, Il brigante, Controcorrente, Napoli 2001, pp. 196

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Come si diventa brigante? All'epoca - siamo negli anni che vanno dal 1860 al 1870 - non esisteva la malavita organizzata, che è un prodotto della civilta' tecnologica e tecnocratica. Si diventava brigante perché si osava reagire ad un atto ingiusto, ad un sopruso, facendosi giustizia da sé.
A questo punto per un povero diavolo non c'era scampo: sperare nella giustizia significava sognare. Se non si voleva finire in galera per tutta la vita, l'alternativa era la montagna: il brigantaggio. Si moriva giovani, è vero. Almeno si viveva da uomini. Nessun brigante ha superato i trent'anni.
Antonino, oltre quest'aspetto tradizionale, presenta qualcosa di diverso. Egli non solo conserva l'amore per il suo popolo, ma aggiunge a questo l'amore per il Re e la patria, per il Regno di Napoli invaso dai piemontesi. La sua lotta è su due fronti: contro i prepotenti e contro gli invasori diventa capitano dell'esercito borbonico e come tale intende comportarsi fino alla fine, fino ad affrontare ed uccidere con un colpo in pieno viso il generale che aveva perseguitato e fucilato tutti i suoi uomini.