Salvino Nucera, Chalònero
Salvino Nucera, Chalònero, testo grecanico con traduzione a fronte, Qualecultura, 1993, pp. 196
Salvino Nucera, Chalònero, testo grecanico con traduzione a fronte, Qualecultura, 1993, pp. 196
Questo romanzo, il primo in assoluto della letteratura in lingua greca di Calabria, comporta due registri, quello della creazione artistica e quello dell'impegno linguistico; di conseguenza. anche i significati sono moltiplicati. Sul piano creativo. i nomi propri sono insieme emblema e programma, scelti con gusto allegorico e con l'intento di un contrappunto simbolico: Chalonero significa in lingua greca «Sogno svanito», Giicada «Dolcezza». Scerocardi «Cuore duro», Polimandro «Dalle molte mandrie»; Platocalo significa «Bel parlare», con allusione non soltanto alla bella eloquenza del personaggio ma anche ai molteplici esiti di tale sua prerogativa, nonché alla convenienza, pienamente descrittiva dei nostri ambienti, che un personaggio siffatto abbia questa dote; Partena significa «Vergine», e nel romanzo questa è una condizióne provvisoria. Folisceno è il luogo «Ospitale» perché l'ambiente umano a cui si riferisce il romanzo è fra i più ospitali che si possano immaginare, quanto ad accoglienza del forestiero, anche se più volte è così amaro per i suoi componenti da divenire inabitabile.
Anche, sul piano creativo, occorre leggere la simbiologia delle descrizioni femminili spesso simili nei caratteri psicologici e nel fascino del volto, connesse con il persistente svanire delle relazioni amorose di volta in volta considerate quasi assolute. Con altrettanta densità, il narratore descrive come aspetto naturale e quasi scontato l'apparente assenza di problematiche psicologiche sostituite da facile e frequente emotività e la ripetizione ossessiva di pranzi e di simili godimenti in un orizzonte spiritualmente sempre più ristretto.
La ricerca linguistica, evidente nello sforzo di aprire un sistema aduso ai dialoghi spiccioli di vita quotidiana, alla sinteticità dell'espressione poetica o sapienziale ed alla semplicità del narrare favoloso (i «fattuccia») perché diventi prosa densa di trame narrative e descrittive, può apparire talvolta come indugio lessicale, dovuto all'intento di ricordare, definire e recuperare all'uso linguistico vocaboli resi desueti dal continuo venir meno dei loro naturali portatori.