Dopo l’invasione del 1860-61, i piemontesi compresero che la gente del Sud li stava combattendo con uno slancio così esteso, coraggioso e tenace, da far vacillare le fondamenta del nuovo regime.
Come nel 1799, la borghesia parassitaria, prima giacobina e poi liberale, aveva puntato sulle baionette straniere per consolidare, contro la politica sociale dei Borbone, le usurpazioni delle terre ai danni dei contadini e per avere mano libera nelle sue attività antisociali. Scatenò, così, una repressione sanguinaria e brutale, durata fino al 1870, che divenne vera e propria pulizia etnica, affidata a un esercito di almeno centoventimila uomini, oltre a circa ottantamila guardie nazionali. I deputati meridionali al parlamento di Torino non fecero nulla per tutelare i diritti e le legittime istanze delle popolazioni rurali. Del resto, moderati o democratici, di governo o di opposizione, erano essi stessi usurpatori delle terre demaniali.
La Legge Pica, approvata il 15 agosto 1863, fu il tentativo di istituzionalizzare il terrore in atto nel Regno delle Due Sicilie occupato e di dare ad esso una parvenza di legalità. Arresti arbitrari, fucilazioni sommarie, tribunali militari formati all’istante, fattispecie di reato così generiche da poter essere applicate a discrezione, autorizzazione a formare bande armate di mercenari che fiancheggiassero l’esercito invasore, introduzione delle liste di sospettati, compilate dai notabili liberali.
Una mostruosità giuridica che sancisce ufficialmente la clamorosa disparità di trattamento fra sudditi del Centro-Nord, per i quali valgono le garanzie dello Statuto Albertino, e sudditi del Mezzogiorno, per i quali esse sono carta straccia.
Contro queste norme infami, si leva l’indignata protesta di Inorch Scorangef, pseudonimo di un magistrato insofferente al nuovo regime. Una coraggiosa critica che testimonia i patimenti di un popolo, cui un’aggressione di stampo coloniale stava imponendo, con l’aiuto di mafia e camorra, un sistema antimeridionale, burocratico e poliziesco. Generando una sfiducia del popolo nelle istituzioni dello stato, che da allora non è più cessata.